James Bond: riesplorando il freddo e spietato ritratto di Daniel Craig

I film su 007 ricordo di averli usati come sottofondo per le mie giornate delle medie costantemente, quando Sky dedicava un intero canale ai film sull’agente segreto più famoso del mondo. Un periodo in cui Sean Connery, Roger Moore e Pierce Brosnan (un saluto anche a Timothy Dalton e George Lazenby, di cui recupererò i film in futuro), ma senza mai andare oltre il semplice “sottofondo”. Quindi, in realtà, i film su James Bond che ho veramente visto sono solamente Goldfinger, L’uomo dalla pistola d’oro, Goldeneye e La morte può attendere. Di questi ho amato solo Goldfinger, gli altri l’esatto opposto.

Per quanto riguarda i film con Daniel Craig, invece, è tutta un’altra storia. Ho seguito l’evolversi della saga quasi stop by step, affascinato dal personaggio e da come quest’attore freddo e spietato lo interpretava. E fino ad oggi sono sempre cresciuto con l’immagine di Daniel Craig come unico e vero James Bond (puristi / passatisti amanti di Sean Connery in arrivo sotto casa mia con i forconi sono quotati 1.01?), e data l’imminente uscita dell’attesissimo No time to die, ultimo film per Craig, quest’oggi voglio portarvi una personalissima sbrodolata di riflessioni e pensieri circa questa saga e questa riuscitissima reinterpretazione del personaggio.

È il 2006 e James Bond porta a termine missioni segrete per conto della Regina sul grande schermo da poco più di 40 anni, per un totale di 20 film. Numeri che si fanno sentire per il personaggio, nonostante sia stato soggetto a ben 6 interpretazioni. Ma, da quel poco che ho potuto vedere io, percepivo sempre questa tediosa intenzione narrativa di voler realizzare spy-movies d’azione con un carismatico protagonista in smoking, a bordo di una Aston Martin DB5 e circondato dalle donne più belle del mondo, ma senza raccontare niente di più. La conseguenza del reiterare questi prodotti è il ridurre il personaggio ad una mera action figure fatta solamente per attirare pubblico in sala usando il suo nome.

Lo stesso Daniel Craig era restio ad interpretare il personaggio proprio per questa ragione qua, ricredendosi dopo aver letto la sceneggiatura di Casino Royale.

Come dicevo prima: è il 2006, l’anno prima Batman Begins ha rilanciato il personaggio del Cavaliere Oscuro con un tono che ha ridefinito il genere supereroistico. Martin Campbell, con Casino Royale, farà la stessa cosa col personaggio di James Bond.

La grandezza del Bond di Daniel Craig sta nella sua spietatezza, nel suo cinismo, nel suo voler essere libero di uccidere a destra e a manca senza conseguenze. Un assassino, un figlio di puttana vero e proprio che gode nel fare questo terribile mestiere, e che potrebbe lavorare per chiunque; Regno Unito, Russia, America, Cina, per il Bond di Craig non ci sarebbe differenza, l’importante è avere sempre a portata di mano una Walther PPK carica.

Per questo la scelta di Craig come attore è uno dei casting più azzeccati della storia del cinema. Un attore affascinante alla Steve McQueen, ma con una spietatezza in volto degna di un Charles Bronson. Come direbbe Sergio Leone: ‘con uno sguardo in grado di fermare una locomotiva’. Ma quello stesso spietato e gelido sguardo è anche terribilmente affascinante, sensuale; uno sguardo che riesce a tirar fuori il lato donnaiolo del personaggio. Un aspetto di Bond che verrà usato per cercare di arrivare a toccare il suo lato più umano, mettendo a nudo le sue debolezze e gli errori commessi da un’arroganza che invece di renderlo carismatico e affascinante lo mostra più vulnerabile e drammatico.

Tutto questo viene presentato alla grande in Casino Royale, il migliore della saga con Craig; diretto da un Martin Campbell che non ha mai girato, né prima né dopo, un film così bene. Basterebbe il prologo in bianco e nero, chiuso in grandissimo stile dalla celebre sequenza gun barrel, per rendere Casino Royale uno dei migliori film d’azione degli ultimi vent’anni.

Il film di Campbell è il perfetto film su James Bond, sì per tutto quello di cui abbiamo parlato prima circa la reinvenzione del personaggio, ma perché, personalmente, trovo che sia la pellicola che incarna al meglio tutto quello a cui penso quando sento il nome di “James Bond”: un mondo fatto di vestiti eleganti, macchine costose, drink, belle donne, ma al tempo stesso spietato, violento. Un mondo dove l’eleganza non è nient’altro che un tappeto sotto il quale nascondere tutto il sangue e la violenza che permette a quel mondo di restare in piedi.

Le sequenze dell’eterna partita a poker con Le Chiffre riescono a farti tenere il fiato sospeso solamente con due personaggi che giocano a carte guardandosi dritti negli occhi, grazie ad una regia e un montaggio che rendono quei momenti dei veri e propri duelli (straordinario il momento in cui, prima di far vedere l’ultima mano, sono montati in sequenza i primi piani di tutti i presenti per far raggiungere la tensioni dei livelli altissimi).

Certo, Craig ha degli occhi di ghiaccio perfetti per il film, ma come non citare Mads Mikkelsen? Uno dei migliori attori degli ultimi anni nei panni di un personaggio che reinventa il ruolo del villain tanto quanto è stato con quello del protagonista che deve affrontare. Le Chiffre è semplicemente un coglione, alla mercé di personaggi molto meno carismatici di lui ma molto più potenti, e infatti morirà come un idiota per mano di Jack White, membro della SPECTRE.

Purtroppo, la saga continuerà con il fallimentare Quantum of Solace di Marc Forster; un film semplicemente senza palle. Non c’è la grandezza registica di Campbell, né la stessa raffinatezza in fatto di fotografia e montaggio, per non parlare di un antagonista tutt’altro che carismatico e minaccioso e una Bond Girl che nulla ha da offrire se non essere la gnocca di turno. Tuttavia, rimane l’intenzione di raccontare un Bond spietato e cinico alla ricerca di un qualcosa che potrebbe, forse, liberarlo dai suoi tormenti o condannarlo ad essere l’assassino a sangue freddo che è sempre stato. Daniel Craig è di certo la punta di diamante del film.

Certo, il film non sarà ben riuscito, ma con esso viene presa una scelta importantissima: è il primo a continuare la storia del film precedente. Siamo ben lontani dallo schermo “Marvel Cinematic Universe”, dunque puoi vederti e goderti tranquillamente Quantum of Solace senza aver visto Casino Royale, ma c’è comunque, per la prima volta nella storia cinematografica del personaggio, l’intenzione di realizzare una vera e propria saga anziché una semplice serie di film.

Un’intenzione vincente perché permette di poter approfondire il personaggio come mai era stato fatto fino ad ora.

Infatti, nel 2012 esce Skyfall e il colpo va a segno.

Sam Mendes prende le redini della regia e decide di scavare a fondo dentro l’animo di Bond come nessuno aveva mai fatto fino ad ora. Non che l’abbia fatto meglio di Campbell, diciamo che l’ha fatto (quasi) altrettanto bene ma affrontando lati diversi del personaggio di 007.

Skyfall si addentra nel passato di James Bond, affrontando la morte dei suoi genitori e il ruolo che M, sempre meravigliosamente interpretata da Judi Dench, ha per il nostro 007. Tant’è che a questo giro il ruolo della Bond Girl è affidato proprio alla direttrice dell’MI6, allontanandosi dalla classica figura della bambolona sensuale e pericolosa per mettere al centro quella che fu effettivamente la donna più importante per James Bond.

Anche la stessa M si ritrova a dover affrontare i demoni del suo passato con l’antagonista Raoul Silva, personaggio straordinariamente riuscito grazie soprattutto ad un Javier Bardem che riesce a rubare tutta la scena ogni volta che appare. Il monologo con cui entra in scena nel film è sensazionale, per non parlare di come l’attore spagnolo mostra a schermo la perversa ossessione che Silva ha nei confronti di M e il suo essere il personaggio più sessuale della saga.

Inoltre, Skyfall ci mostra un Bond più vulnerabile che mai. Un uomo distrutto dall’alcool, dal peso del lavoro e dall’età, tant’è che arriverà a fallire tutti i test per tornare operativo sul campo. Memorabile l’espressione distrutta di Daniel Craig quando reagisce allo psicologo che gli nomina Skyfall, mostrando per la prima volta tutta la vulnerabilità più intima del personaggio. Ed è proprio questo di cui parla Skyfall: vulnerabilità.

Il film inizia con un 007 sconfitto, l’MI6 messo alle strette e con la storica sede distrutta, braccata da un nemico veramente temibile, col tutto che si chiude con la morte di M (una coraggiosissima scelta narrativa).

Tuttavia, nonostante questa meravigliosa decostruzione del personaggio e del mondo che lo circonda, Skyfall è anche il film che compie dei passi indietro.

Sentiamo citare molto, molto, spesso i film precedenti, con battute quasi meta cinematografiche che vogliono esplicitare l’intenzione di volersi distaccare il più possibile dalla classica e ormai vecchia figura dell’agente segreto con le penne esplosive per poter raccontare una storia più drammatica e umana. Eppure, in antitesi a quanto detto fino ad ora, è il primo film di questa saga ad avere gli storici personaggi di Moneypenny, Q, a usare molto spesso il celebre tema musicale composto da Monty Norman (che invece David Arnold, compositore dei due film precedenti, ha voluto ridurre al minimo per enfatizzare la reinvenzione del personaggio) e ad avere dei gadget come sedile eiettabile e mitra nei fari della Aston Martin DB5.

Tutto ciò potrebbe essere giustificato da un citazionismo voluto dal fatto che Skyfall è uscito nel 2012, a distanza di 50 anni dall’uscita del primo film con Sean Connery, ovvero Licenza di uccidere; si pensi che il personaggio del guardiacaccia scozzese Kincade era stato pensato proprio per lo stesso Sean Connery.

Ma quello che intravedo in questo “citazionismo” sono dei primi passi indietro rispetto a quanto si erano ripromessi di fare sin da Casino Royale. Passi indietro che verranno compiuti proprio con Spectre.

Ricordo che sin da quando uscì al cinema Spectre mi lasciò con l’amaro in bocca. Non c’era bisogno di un genio per capire che il film, per quanto tecnicamente impeccabile (con Van Hoytema alla fotografia, Lee Smith al montaggio e Thomas Newman come compositore cosa ci si poteva aspettare?) fosse molto meno riuscito di Skyfall. Il che è un gran peccato se consideriamo che dietro la macchina da presa abbiamo lo stesso regista.

Spectre sembra essersi dimenticato quasi del tutto delle intenzioni narrative dietro questa saga. Ci si ritrova di fronte ad un film su James Bond uguale, nella sostanza, a tutti quegli stessi film dai quali si voleva prendere le distanze. Tornano i gadget, torna la SPECTRE e con essa il super cattivone col il grande piano. Pensando al personaggio di Le Chiffre, direi che abbiamo fatto PARECCHI passi indietro. Che dire, poi, della motivazione dietro l’astio provato dal nostro villain di turno verso Bond? Degna di una soap opera latina americana.

Quello che più lascia interdetti è questa empatia che sembra venir fuori dal nulla sia in Bond sia nella Bond Girl di turno, Madeleine Swann (una meravigliosa Léa Seydoux). Trai due nasce un’empatia inspiegabile, per il semplice fatto che Madeleine è figlia di Jack White, il responsabile della morte di Vesper Lynd (Bond Girl di Casino Royale, una mortale Eva Green), che Bond non aveva proprio in simpatia. Il fatto che un uomo così spietato e cinico si innamori della figlia dell’uomo dietro la morte dell’unica donna che abbia mai veramente amato mi sembra una scelta non in linea con il personaggio.

Ma alla fine il film risulta un passabile action movie, grazie ad una tecnica impeccabile (il piano sequenza che apre il film è incredibile) e un cast che funziona alla grande. Non solo il mitico Craig, ma soprattutto il leggendario Christoph Waltz che riesce a rendere il personaggio, nonostante la scrittura, memorabile. Da ridurre notevolmente le scene con M (ora interpretato da Ralph Fiennes) e C (Andrew Scott da Sherlock), che ci distolgono da quello che ci interessa veramente seguire, ma comunque il film non fa pesare troppo la sua durata di due ore e mezza e riesce ad intrattenere.

Ed ora siamo qua, con No time to die finalmente in procinto di uscire. Ammetto che rivedendo questi film mi è salito un po’ di timore verso il 25° film su James Bond. Perché Spectre si è rivelato come ‘burro spalmato su troppo pane’, dimostrando tutti gli anni che il personaggio ha, cinematograficamente, sulla schiena, e non vorrei che si ripetessero gli stessi errori con il 25° film.

Tuttavia, è diretto e co-scritto da Cary Joji Fukunaga, regista sicuramente più interessante di Sam Mendes, con fotografia di Linus Sandgren e colonna sonora di Hans Zimmer. E dunque ecco che la speranza torna verso No time to die.

Ed infine abbiamo l’ultima interessante considerazione verso questa saga.

Come abbiamo detto, è la prima volta che i film sono stati scritti per portare avanti una storia a sviluppo orizzontale, ma quello che colpisce è che la saga inizia con James Bond divenire l’agente doppio 0 e terminerà con un film scritto apposta per chiudere la storia di questa versione del personaggio, dato che è ufficialmente l’ultimo 007 per Daniel Craig.

In sinossi, per il momento possiamo dire di avere di fronte una saga con alti e bassi, ma anche di avere una saga che è riuscita nel prendere un qualcosa di noto al grande pubblico da decadi e renderlo nuovo, tutto da scoprire, riuscendo a sfornare due dei migliori action movie degli ultimi anni.

Dunque, montiamo in sella alla nostra Aston Martin DB5, carichiamo la PPK, e prepariamoci per questo tanto atteso No time to die. Godiamoci questo ultimo adrenalinico viaggio insieme a quel viso così freddo e spietato, che per ora è la prima cosa che mi viene in mente quando sento dire ‘007’.

Andrea D'Eredità

Andrea D'Eredità

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