RECENSIONE – Black Mirror (1-2 stagioni)

Ogni tanto, fra il mare di serie godibili ma che tecnicamente non sono niente di che, gli inglesi estraggono qualcosa di nuovo e originale, anche se magari ritrova nella sua stessa struttura alcuni rimandi alla cultura pop o dei semplici easter egg riconoscibili.

Ci possiamo ricordare Dead Set dove il genere zombie movie viene rinnovato con una facciata della decadenza dei network mondiali, un reality ispirato al Grande Fratello, che in poche puntate incarna a pieno tutto quello che vorremmo vedere da questo genere, con un pizzico di finale amaro che contraddistingue spesso i prodotti europei di qualità da quelli americani pregni di “pink end”.

Una serie che non era stata pensata inizialmente per Netflix ma che poi il noto servizio di streaming ci ha permesso di utilizzare nei nostri computer è proprio la più chiacchierata del momento, Black Mirror. Ero scettico verso questa serie, dopotutto succede spesso che molte persone parlino di un argomento che poi magari si rivela un prodotto di bassa lega, (guarda Shadowhunter), ma alla fine dopo aver terminato The Expanse, si cui credo farò una recensione prima o poi, era venuto il momento di sperimentare.

Due settimane dopo, arrivato alla fine di Black Mirror, o almeno pare visto che la terza stagione era stata pensata come lunga 12 episodi, poi divisa i due stagioni da 6, mi sono reso conto quanto questa serie sia un piccolo gioiello contemporaneo che ci invita a riflettere sui pregi e difetti della tecnologia, dove i pregi ci portano la comodità e l’alleggerimento della nostra vita, ma dove i difetti rendono il mondo, molto spesso, una sorta di social network in real life con i suoi orrori dati dalla libertà senza controllo.

Ma andiamo con ordine cercando di fare un bel riassunto discontinuo in pieno stile con la serie. Con la prima puntata subito la prima stagione ci mostra dove vuole andare a parare, ma sopratutto ci permette di fare un’immedesimazione estremamente facile. Il paesaggio, la luce, i cielo, le auto, le persone e gli ambienti sono estremamente riconoscibili e non sembrano provenire da un lontano futuro, si limita semplicemente a porci di fronte ad una realtà non troppo dissimile alla nostra, con lo specchio di una tecnologia che può sembrare di stampo futuristico, ma nemmeno più di tanto.

Prima stagione

Parlando della 1×01, intitolata “Messaggio al Primo Ministro” devo ammettere che Black Mirror necessita di un suo metodo di valutazione. Ripensandoci è difficile dare dei punti di pregio a questa puntata. Black Mirror si impone sicuramente come uno specchio del marcio, un quadro satirico in cui il potere che la tecnologia mostra il suo volto più oscuro. La malvagità di una bestia libera di agire secondo la legge che il web aiuta a far proliferare. Potrei lanciarmi in elogi tecnici di cui la puntata non è sicuramente sprovvista, ma non credo serva a qualcosa, perché il punto della puntata e proprio mostrare come il senso dell’azione non esiste, e solo un gioco di potere in cui il degrado vince.

Veramente difficile da descrivere, e con la seconda puntata, 15 Milioni di celebrità, l’escalation di follia cresce, mostrandoci un mondo si particolare, con un piccolo tocco visivo che ricorda il Papa Song dove lavora Sonmi 451, tutto agghindato come un’estenuante e monotono circolo di vita, sport, cibo e pubblicità, tutto asservito al rinchiudere se stessi nella propria prigione fatta di schermi luminosi, televisione spazzatura, talent e pornografia, dove anche il fiore più bello e innocente viene spezzato per farne una macchina pubblicitaria, e dove il “vaffanculo” di libertà viene strumentalizzato come recita di un programma inutile, asservito solo alla vendita di gadget, videogiochi, e la compravendita del libero pensiero individuale.

Purtroppo non tutte le ciambelle escono col buco, e con la terza puntata, Ricordi Pericolosi, della prima stagione troviamo una sceneggiatura in effetti leggermente più debole, con sempre però lo spettro di questa tecnologia invasiva che dovrebbe risolverti la vita, mentre il suo fine ultimo è quello di renderci paranoici, come in uno speciale modo di vedere i propri ricordi, ed uno sterile crogiolarsi in essi per masturbarsi sui propri successi di vita che paiono ormai lontani. A parte la storia povera di un più autentico ed in stile pathos, in questa puntata viene mostrato un particolare marchingegno che piuttosto semplice in realtà, e che lo vedremo reiterato in altre puntate anche se con fini e caratteristiche sempre diverse. L’occhio come mezzo per vedere il nostro mondo, e adesso specchio di una sorta di Facebook in live-action, con tutti i suoi pro e contro.

Seconda Stagione

Quindi ormai completamente assorto in questa serie dal sapore piuttosto amaro, la produzione ci mostra lo specchio inquietante dei nostri avatar. In una puntata anch’essa piuttosto classicistica con uno stile che ricorda molto Twilight Zone, la prima puntata, intitolata Torna da me, ci mostra subito due grandi attori come Hayley Atwell e Domhnall Gleeson in un dolce quadretto suburbano, con il terrificante spettro della morte a fare da nemico. Può la tecnologia arrivare fino al punto di permetterci si sostituire il nostro caro defunto? Per Black Mirror pare di si, ma naturalmente i risvolti sono inquietanti. Con una eccellente Hayley Atwell la puntata ci mostra una donna disperata per la morte del marito, che quasi contro la sua volontà e assuefatta alla mancanza della sua dolce metà, decide di prendere parte ad in inquietante esperimento in cui il peggiore degli aspetti della tecnologia ci viene prepotentemente mostrato. Con un rimando alla realtà che non pare nemmeno troppo assurdo, la puntata ci mostra come il nostro essere assuefatti ai social network possa permettere il nostro profilo di reinterpretare e ricreare noi stessi, ma nonostante l’avanzamento tecnologico sia all’avanguardia nello svolgere della narrazione ci viene mostrato come la persona sia in se non replicabile, e un androide in tutto e per tutto simile ad un umano sia in realtà solo un guscio vuoto con una programmazione di base, capace di farci tornare in quella comfort zone che la morte ci ha tolto, ma sempre con la consapevolezza che non c’è niente di autentico.

Con la seconda puntata, intitolata Orso Bianco, si torna al generale senso di follia che devo ammettere mi ha quasi terrorizzato. Naturalmente bisogna lasciarci trasportare dall’empatia in questa puntata, sapendo bene che le cose non sono esattamente come sembrano. Da come viene presentata pare che la serie voglia presentare uno spaccato in uno stile post-apocalisse dove la tecnologia è il nemico in uno stile che ricorda un po’ la premessa che aveva Cell, adattamento cinematografico del romanzo di Stephen King. Intendiamoci, solo di facciata, perchè poi la verità è ben più inquietante. Quello che aleggia in questa puntata ha dell’incredibile. Pare che anche se gli episodi sono scollegati ci sia un lento crescendo nell’aggettivazione della pericolosità della tecnologia, ed in questo caso viene utilizzata come un mezzo di un malato spettacolo che è una via di mezzo fra un reality ed un parco a tema. In questo caso a cadere nella pericolosità della tecnologia ed essere distorto è il senso di giustizia, giostrato con questo personaggio particolare, in un’ ambientazione che rimanda esteticamente ad un mucchio di cose, e risolve il tutto con un colpo di scena degno di M.Night Shyamalan, che mi ha lasciato basito di fronte allo schermo per come il tutto si riveli una deviata recita dove la tortura è la condanna vengono resi un gioco.

In Vota Waldo troviamo ancora una volta un concetto che con la terza puntata della seconda stagione continua ad essere reiterato continuamente, e che purtroppo è più attuale di quello che pensiamo. Infatti la forza della puntata sta proprio nell’essere estremamente reale, certo, la tecnologia per animare il pupazzo virtuale Waldo è di stampo sci-fi, ma in effetti nemmeno troppo perchè si tratta di un interfaccia animatronica di nuova concezione. Quello che però vediamo in questa puntata è il generale senso di marcio che possiamo vedere tutti i giorni nella nostra società. Un mondo in cui il concetto delle persone che sono stufe della politica e dei politici viene verbalizzato attraverso un personaggio sboccato e ideato per della satira non-sense, che per essersi scontrato con un politico dimostrando autorità attraverso una concezione basilare e ignorante della politica, trova la propria forza nel popolo altrettanto ignorante e avvezzo al farsi controllare dai personaggio che smuovono il malcontento generale. Vi ricorda qualcuno? L’escalation porta inevitabilmente ad una sorta di parallelismo con il mostro di Frankenstein, in cui il mostro è l’idea dietro al personaggio che muta da input di satira a veicolatore del malcontento, fino a prendere metaforicamente vita propria, e la prima cosa che succede come risultato dal mostro che prende vita è la dipartita del “dottore” che l’ha creato, ma questa volta il mostro non viene inseguito da torce e forconi, bensì innalzato a vera voce del popolo e messo su un trono d’argento.

E con la puntata speciale, Bianco Natale, si conclude questa recensione. Una puntata che racchiude un po’ tutto quello che abbiamo visto prima, una puntata che utilizza il peggio di una tecnologia avveniristica per uno scopo che non si comprende fino a metà puntata. Ma andiamo con ordine perchè questa puntata va spiegata.

La radio trasmette “I wish it could be christmas everyday” e due persone in una sperduta casetta di campagna immersa nella neve parlano fra di loro,  la prima ambientazione che ci viene presentata ricorda un po’ qualcosa di oscuro, come se quelle due persone fossero le uniche ad esistere, come se qualcosa le abbia rinchiuse dentro quella casetta. Un fantastico Matt (John Hamm) comincia a raccontare la sua storia, per far si che lo spirito natalizio scenda in quel frangente di spazio, e prende vita la prima parte della puntata. Matt in una sorta di evoluzione dei social network con il congegno “Z-Eye”, vive il suo lavoro di consulente amoroso per le persone impacciate, trasmettendo tutto in una sorta di live-streaming condiviso con altri internet-nauti che si scambiano opinioni e commenti su quello che vedono. In un veloce svilupparsi degli eventi il suo “cliente” viene ucciso da una ragazza introversa e misantropa che credeva che il ragazzo soffrisse si schizofrenia come lei, e dopo questo avvenimento veniamo sa conoscere uno degli esempi di social network nella vita reale. La moglie di Matt, disgustata da ciò che suo marito fa per vivere, utilizza una delle opzioni dello “Z-Eye” letteralmente “bloccando” che impedisce alla persone bloccate di vedere e sentire una determinata persona. Ma a questo punto, confinato in quella casa per la condanna di concorso in omicidio Matt rivela che quello non era il suo lavoro, ma solo un hobby, così nella parte 2 racconta cosa veramente faceva. L’uomo si occupava di creare i cosi detti “cookie”, copie digitali delle coscienze, con tanto di ricordi ed emozioni, di altre persone unicamente create come perfetta centralina di un’interfaccia domotica per le case, ma intrappolate nel loro credersi vive così il lavoro di Matt consisteva “nell’educare” queste copie.

A questo punto l’altro personaggio, Joe, complice di un un drink di troppo e il disgusto verso il racconto di Matt, decide di aprirsi e raccontare la sua storia, che non è altro che uno spaccato della tecnologia Z-Eye in uno scenario della vita di tutti i giorni, dove lui e la sua compagna Beth si scontrano per una questione delicata, ovvero il desiderio o meno di portare avanti una gravidanza, e in un momento di follia durante una feroce discussione Beth “blocca” il compagno mostrandoci il lato più oscuro di questa tecnologia. Da li comincia un escalation di follia in cui il povero Joe non può più vedere ne sentire Beth, e complice anche il fatto che lei abbia mollato il lavoro e gli amici non sappiano dove sia sparita, Joe non riesce più a trovarla nemmeno utilizzando il mondo reale. Potrebbe andare avanti ma ogni foto mostra la sagoma oscurata di Beth, ed in un raptus di disperazione, immaginando possa essersi rifugiata a casa del padre, la cerca e scopre un verità assurda.

Un susseguirsi si eventi porta Joe a macchiarsi di omicidio, e qui non possiamo spiegarlo perché è il vero climax della puntata, in cui tutto viene rivelato ed in un folle delirio di onnipotenza l’umanità si mostra per quello che è diventata in relazione dal “real life social network” che ha creato. Una puntata che mostra il peggio della tecnologia in una sorta di recap di alcuni apparecchi già mostrati nelle puntate in precedenza, il punto massimo in cui s’incontrano tutte quelle cose che l’essere umano ha creato per rendersi la vita più semplice, con l’espediente dell’abuso scorretto e illegale, dell’asservimento alla forza dell’ordine, e con lo spunto narrativo principale di racchiudere la condanna in qualcosa di familiare, così che la persona si senta a proprio agio per parlare e poi essere “bloccato” per i suoi crimini anti-sociali.

Seratul

Seratul

Sono uno scrittore per passione, un cinefilo per destino, ed un intellettuale perché non ho niente da fare. Strano, appassionato di cinema, incline all'informarmi per diletto ed a fare figure cacine all'occorrenza. Capo redattore di Cinespression.it.

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