RECENSIONE – Da 5 Bloods
Sotto l’egidia di Netflix, in concomitanza col fervore del Black lives matter, è uscito il nuovo film di Spike Lee, Da 5 Bloods, e si rivela un film che viene percepito come controverso e mal realizzato, ma non la vedo così.
Quando negli Anni 70 lasciano il Vietnam Paul, Otis, Eddie e Melvin hanno ormai stretto un legame indissolubile. Strappati dalle loro adolescenze americane e spediti in mezzo alla giungla con in mano un’arma d’assalto, si ritrovano a formare una strana famiglia, Da 5 Bloods, anche grazie alla guida di Stormin’ Norman. Nonostante le decadi siano passate e le loro vite proseguite, il loro rapporto è più forte che mai e da un hotel di Ho Chi Minh inizia la loro doppia missione: rintracciare i resti del loro caposquadra Norman e una cassa d’oro trovata durante la guerra. Ad aiutarli c’è l’ex amante vietnamita di Otis, Tiên Luu, che li presenta a Desroche (Jean Reno) che li potrà aiutare a trasformare l’oro in denaro da depositare in conti offshore.
La pellicola marcia lungo il sentiero della storia americana, raccontando il trauma del Vietnam dal punto di vista di 4 “fratelli” neri, attempati, con i loro acciacchi, i fantasmi che li tormentano, e la comune esperienza del gruppo di neri che gli Stati Uniti ha mandato in guerra mentre dall’altra parte del mondo veniva ucciso il Dr. King. Ormai vecchi, con una vita e un’eredità – per alcuni sconosciuta – i fratelli tornano nella giungla vietnamita per ritrovare i ricordi di un altro fratello caduto, quello che per loro fu la guida alla rivolta nella pace, ed un tesoro sepolto.
Un film che tiene al centro l’argomento socio-politico, sia dei tempi della guerra del vietnam, con un tocco di classe giocando con il formato in 4:3 e il cambio di fotografia, che dei tempi moderni con il classico formato il 16:9, intraprendendo anche la strada del citazionismo dove spiccano ovviamente Apocalypse Now e Il tesoro della Sierra Madre, sopratutto nella seconda parte. La vera pecca della pellicola è la durata che può risultare eccessiva, ma dipende ovviamente da quanto il film ti coinvolge.
Da 5 Bloods si mostra nel gioco di generi pieno di bilanciamenti, spazia dall’avventura, al dramma storico, al war movie, con sprazzi di commedia, e questi si intrecciano in un modo che potrebbe lasciare perplessi, e che ovviamente non giova della durata, ma coinvolge se glielo permetti.
Non importa delle varie opinioni estreme, fra chi lo definisce un capolavoro e chi invece una baracconata inqualificabile. La pellicola per me risulta un po’ come il C’era una volta a Hollywood di Quentin Tarantino, un film in cui lo stile e l’amore del regista è presente, si percepisce e li si respira pienamente, ma forse questo non è così palese per il fruitore occasionale. La particolarità che più ho apprezzato è il fatto che i temi del film di Spike Lee risultino ancora tremendamente attuali, comprensibili e assimilabili, nonostante la storia racconti “anche di altro”.
Perché al centro del film ci sono si i temi ed i messaggi cari al regista di Atlanta, ma è anche la storia di 4 Black G.I., come vengono chiamati, che si avventurano nella foresta vietnamita che li ospitò e traumatizzò da più giovani (portato in scena senza ringiovanimento in CGI), alla ricerca del cadavere del fratello e guida, ma anche di una cassa piena di lingotti d’oro.
Brilla fra l’altro il cast dell’ensemble, che vede Jonathan Majors, Norm Lewis, Mélanie Thierry, Isiah Whitlock Jr, Jean Reno e Paul Walter Hauser. Eccellente pure e l’attenzione del regista per le melodie che accompagnano il film, la ricca colonna sonora di Terence Blanchard è interrotta a vole da grandi esempi dell’album del 1971 di Marvin Gaye, What’s Going On, che alle volte appare come un gruppo che esplode, altre come una voce solista che mette i brividi.
Personalmente ritengo Da 5 Bloods una vera perla che possiamo trovare nel catalogo Netflix, e forse più necessario di quanto si possa pensare di questi tempi.