Shin Godzilla: la resurrezione del fantasma del Natale passato

David Lynch con la sua terza stagione di Twin Peaks, e in particolare con l’ormai storica ottava puntata, fa coincidere la detonazione della prima bomba atomica (16 luglio 1945 presso le White Sands in New Mexico) con la massima espressione della cattiveria umana. Un progresso tecnologico fenomenale ma che non è sinonimo di evoluzione per gli esseri umani in quanto specie, ma anzi il contrario.

Un male che non troppi giorni dopo si scatenò sul Giappone ponendo, nel peggiore dei modi, la parola “fine” all’orrenda parentesi della Seconda Guerra Mondiale. Un atto che, dopo nove anni, sarà raccontato attraverso il cinema dal maestro Ishiro Honda; regista che creerà un personaggio rappresentazione stessa di questa cattiveria, un tumore vivente alto 50 metri il cui unico scopo è quello di reagire, come un qualsiasi altro animale, alle barbarie che l’uomo perpetra verso la propria terra e verso se stesso.

Quel personaggio è proprio Gojira, ma noto ai più con il suo nome occidentalizzato: Godzilla.

Quello che fece Honda nel ’54 fu qualcosa di unico: creare un personaggio così iconico da diventar famoso in tutto il mondo ed esser conosciuto anche da chi non ha mai visto un suo film, dimostrando quanto Honda sia andato ben oltre quelle che erano le sue intenzioni originali dando vita ad un vero e proprio mito.

Un mito noto soprattutto per la meravigliosa rivisitazione occidentale firmata Gareth Edwards del 2014, tornata recentemente in azione per confrontarsi con King Kong nel film di Adam Wingard.

Oggi, vista la fresca uscita di Godzilla vs. Kong, vogliamo parlarvi di un’altra versione cinematografica del Re dei mostri uscita nel 2016 e di produzione nipponica. Parliamo della versione vista in Shin Godzilla di Hideaki Anno e Shinji Iguchi, che riporta Godzilla a casa dopo ben dodici anni.

Oggi parleremo di questo film, ma soprattutto della figura del mito di Godzilla e di come Shin Godzilla sia uno dei migliori esempi di remake per come ha preso il mito creato da Honda e lo abbia trasposto ai giorni nostri.

Sono diversi anni ormai che va di moda riprendere vecchi o già noti franchise per fare nuovi film. Una tradizione che col passare degli anni ha fatto non pochi danni. Quando si parla di un film tratto da un libro ci si limita sempre alla fedeltà jihadista dei fatti; quando si parla di un film di supereroi la cosa più importante è che il costume del personaggio sia fedele ai fumetti, e ovviamente l’attore deve essere esteticamente azzeccato, non importano più le sue doti attoriali.

Oggigiorno viviamo in un mondo che tende a essere sempre più pigro, superficiale e chiuso. Si pensi ai grandi successi dei remake di Aladdin e Il Re Leone che nulla fanno se non quello di riproporre (anche male) ciò che abbiamo già visto e amato trent’anni prima.

Ed è qui che entra in gioco Shin Godzilla.

Shin Godzilla sembra esser considerato un reboot del franchise, ma credo che sia una definizione errata, anche proprio a causa di questa contemporanea concezione di remake come “vecchio col vestito nuovo” di cui abbiamo parlato prima.

Shin Godzilla è un remake del Godzilla di Ishiro Honda. Questo perché Anno ha ripreso l’essenza stessa del personaggio, l’ha fatta propria (anche dal punto di vista estetico) e l’ha trasposta ai giorni nostri.

Non è esattamente quello che fece Guadagnino col suo Suspiria? O ancora, non è quello che ha fatto Stanley Kubrick con Shining nei confronti del libro di Stephen King?

Anno e Iguchi giocano col mito di Godzilla portandolo su un altro piano narrativo ma comunque al pari di quello di Honda, ma al tempo stesso diverso, e non dimenticandosi della dimensione spettacolarizzante della storia che permette alla pellicola di poter essere usufruita anche come semplice ma splendida opera di intrattenimento.

Godzilla nasce come un tumore della Terra creato dal nostro orrendo uso dell’energia nucleare (nel caso del film di Honda si parla di armi). Anno decide di premere sull’acceleratore e di rendere questo concetto ancora più forte esteticamente e narrativamente: Godzilla nasce dai rifiuti radioattivi che l’uomo produce a causa dell’intensivo uso del nucleare come fonte di energia, e il suo aspetto non lo rende di certo epicamente mostruoso come nelle più celebri apparizioni; Godzilla appare marcio, sanguinante, quasi deforme (soprattutto nei primi minuti del film) esattamente come apparirebbe una massa tumorale vivente.

L’uso del nucleare come arma cede il posto all’uso che noi ne facciamo come fonte di sostentamento della nostra vita. Partendo da ciò, Anno continua la sua rivisitazione concentrandosi su come dovrebbe apparire la distruzione che Godzilla porta a Tokyo.

Guardando il film di Honda è impossibile non pensare alle foto di Hiroshima e Nagasaki distrutte dall’atomica mentre si osserva la Tokyo decimata dal kaiju, senza tener conto del tempo che il regista dedica alle vittime stesse di tale distruzione. Anno, invece, rievoca un altro terribile evento che il popolo giapponese dovette subire soli dieci anni fa: il terremoto del 2011.

A sinistra una foto di Hiroshima poco dopo l’esplosione della bomba atomica. A destra una visione di Tokyo dopo l’arrivo di Godzilla nel film di Ishiro Honda.
A sinistra una foto dei danni causati dal terremoto / maremoto del 2011. A destra una visione di Tokyo dopo il passaggio di Godzilla nel film di HIdeaki Anno.

Anno decide di usare questa catastrofe naturale per suscitare un dramma intimo e viscerale perché rievoca un qualcosa di vero. In questo modo l’idea di punizione e dolore che Godzilla rappresenta diventa ancor più forte e solida nelle intenzioni, senza tener conto del disastro nucleare che questo terremoto causò danneggiando pesantemente le centrali nucleari di Fukushima, Onagawa e Tokai che rafforza il discorso sull’uso del nucleare prima accennato.

Godzilla diviene, esattamente come nel film di Honda, un essere che in preda al dolore causato dalle radiazioni e dalle nostre armi semina morte e distruzione come se colpisse alla cieca. Il suo ruggito sembra essere più un grido di dolore e disperazione che un verso feroce come poteva essere quello del T-Rex in Jurassic Park (basti pensare anche solo al suono straziante di quando viene ucciso Godzilla nel film di Honda dalla bomba Oxygen Destroyer).

Impossibile non citare l’incredibile scena in cui Godzilla usa per la prima volta il celebre raggio atomico per rispondere al fuoco dell’esercito giapponese in modo incontrollato, come quando un cavallo si imbizzarrisce in una situazione di pericolo. Inoltre, è fondamentale la meravigliosa canzone che accompagna la scena:

If I die in this world,

Who will know, something of me

I am lost, no one knows

There’s no trace of my yearning

D’altronde, Honda diceva questo di Godzilla e dei mostri che lui rese celebre:

I mostri sono esseri tragici. Sono nati troppo alti, troppo forti, troppo pesanti. Non sono cattivi per scelta. Questa è la loro tragedia. Loro non attaccano le persone perché lo vogliono, ma a causa della loro altezza e forza, l’umanità non può fare nient’altro se non difendersi. Dopo tante storie come questa [n.d.r. quella di Godzilla], le persone finiscono per provare affetto per i mostri. Arrivano a tenere a loro.1

Io credo che in queste parole ci sia tutto quello che è Godzilla. Credo che questa sia la sua meravigliosa essenza ed è esattamente ciò che vedo in ogni singola inquadratura, battuta, nota musicale di Shin Godzilla. Vedo la volontà di Anno di raccontare il mito tragico di un essere reso mostro da noi umani, quegli stessi umani che ora devono subire la distruzione portata dal mostro che loro stessi hanno creato. Un Dio sanguinante che vorrebbe morire ma il cui corpo sopravvive per punirci.

Un mostro che, inoltre, in Shin Godzilla evolve nel corso del film avvicinandosi sempre più alla forma dei suoi nemici che percepisce come più letali. E vedere sul finale del film, in quella brevissima inquadratura, quegli esserini umanoidi uscenti dalla coda di Godzilla che mostrano come l’uomo sia l’essere che Godzilla teme di più porta l’opera di Anno a essere uno dei film più belli e importanti del decennio scorso.

Shin Godzilla ha fatto questo: ha fatto rivivere il mito del Re dei mostri prendendo a piene mani dal film di Honda ma senza imitarlo in modo manierista e superficiale, ma reinventandolo, creando qualcosa di nuovo, aggiungendo punti di vista e riflessioni che arricchiscono il personaggio e lo rendono più conoscibile alla nostra generazione di spettatori, che magari non capirebbero mai l’importanza del personaggio di Godzilla perché non vogliono sorbirsi un film giapponese in bianco e nero degli anni ’50 (ricordo anche che non esiste alcuna versione doppiata del film).

Questo secondo me è quello che dovrebbe fare un remake. Queste sono le intenzioni che dovrebbero smuovere un regista nell’affrontare una storia già raccontata e per riproporla al grande pubblico, cercando nuove soluzioni narrative e registiche a costo di fallire. Ma se ne esci vincitore ottieni un’opera che sa ingannare, stupire, emozionare, riflettere e soprattutto che fa rivivere i grandi miti e maestri del passato senza i quali non esisterebbe tutto quello che ogni giorno godiamo sul grande schermo o anche solo a casa nostra.

Questo per me è Shin Godzilla.

 

 

P.S.: detto questo continuo a vivere con la speranza di poter vedere Godzilla che si mena contro King Kong sul grande schermo. Perché è lì che due miti del cinema dovrebbero affrontarsi, non su una misera piattaforma streaming di noleggio.

Andrea D'Eredità

Andrea D'Eredità

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